La leggenda del monte Tagliaferro
Il monte Tagliaferro (2964 m) si trova in prossimità del Monte Rosa, sulla sinistra orografica della Sesia e separa la Val Grande dalla Val Sermenza (o Val Piccola). Fra il Tagliaferro e il vicino Corno Mud (2805 m) c’è il passo del Colle Mud (2323 m), che permette – con una buona camminata – il collegamento fra gli abitati di Alagna Valsesia e di Rima S. Giuseppe.
(Il brano che segue è tratto dal volume di Carlo Gallo: In Valsesia, ed. Corradini, ristampa anastatica del 1984, pag.219)
“… non sarà fuor di luogo ch’io loro esponga quanto di favoloso si va dicendo su questo monte, che forse, più d’ogni altro dell’intera Valsesia, è preso di mira per affibbiargli favole e leggende.
Ai due terzi d’altezza, il versante del monte Tagliaferro che guarda il Corno di Moud, ha una specie di strada che pare scolpita a furia di picconi o scalpelli nell’orrida parete, il che, secondo taluni, diede il nome al monte.
E’ questo uno scherzo di natura, perché quella strada non presenta scopo di sorta, avendo ai due capi orridi precipizi; ma la leggenda s’impadronì di essa, e la dice ora costruita dai Saraceni, ed ora dai Romani.
Altri poi vi dice (e tra questi è il Fassola, che nel secolo XVI scrisse una storia della Valsesia tutt’ora inedita) che per la val Piccola o val Sermenza, tornasse Gneo Silvio, proconsole romano, dalla Gallia dove aveva soggiogate certe popolazioni, e che memoria di tal fatto si avesse in una lapide scolpita nel monte Tagliaferro. Simile lapide non esistè giammai.
L’immaginazione popolare pensò bene avvolgere questo monte nel meraviglioso. Secondo essa esiste in una parete scoscesa della montagna una caverna, scavata a forza di braccia, entro cui i Romani riponevano i tesori coi quali mantenevano gli eserciti in Gallia. Caduto in in sfacelo l’impero romano, rimasero nella caverna molte ricchezze, le quali eccitarono fortissimo desiderio di possederle in alcuni abitanti di Rima e paesi vicini. V’andarono, si caricarono di oggetti preziosi, e fecero per uscire dalla caverna, quand’eccoti presentarsi loro un rospo, il quale gonfiatosi rapidamente, venne tanto grosso da impedire loro l’uscita. I meschinelli gettarono via il fatto bottino, e allora il rospo si sgonfiò lasciando libero il passo.
Ma non solo gli audaci avevano eccitato l’ira del rospo, giacché per colpa loro erasi suscitato eziandio un furibondo temporale, che rovinò i pochi coltivi ed i prati della valle. D’allora in poi gli abitanti di Rima incolpavano dei temporali quei coraggiosi che andavano alla caverna, e suonando campana a stormo, s’armavano per costringerli a tornare indietro.
I vecchi della Val Piccola credono ancora oggigiorno al tesoro ed al rospo portentoso”.