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Abitare in montagna

Abitare in montagna: perché ci siamo nati e la nostra famiglia ci vive da sempre o perché, realizzando il sogno accarezzato durante ogni vacanza, abbiamo scelto di lasciare per sempre la città.

Nel primo caso forse ci coglie talvolta il desiderio di avere a portata di mano tutti quei prodotti urbani (negozi, cinema, musei, novità) che quassù non ci sono. Nel secondo caso, probabilmente, ci siamo resi conto che non sempre utilizziamo tutto quello che abbiamo a portata di mano e che si può vivere, e anche meglio, con ritmi meno incalzanti.

Pur nella molteplicità di situazioni (abitare in montagna non è soltanto una necessità o una scelta, può anche essere un ritorno alla natura; al contrario, a volte può essere una necessità andarsene dalla montagna), è possibile stilare un doppio elenco dei vantaggi e degli svantaggi della montagna rispetto alla città e viceversa.

Primo elenco, i vantaggi della montagna: tranquillità, aria pulita, paesaggi incantevoli, contatto con la natura, insediamenti costruiti a misura d’uomo, facilità di rapporti sociali, cibi genuini, culto delle tradizioni… ma anche i risvolti negativi: scarse opportunità di lavoro, difficoltà di comunicazioni fisiche con gli altri centri abitati, infrastrutture ridotte per quanto riguarda la sanità, l’istruzione e la cultura, rischio di sentirsi fuori del mondo in certi giorni di novembre quando il buio arriva prestissimo e già la nebbia nasconde tutto…

Secondo elenco, i vantaggi della città: lavoro e scuola a portata di… macchina o autobus, cinema e ritrovi (per chi ha ancora la forza di uscire di nuovo dopo una giornata di lavoro…), vetrine da guardare e negozi in cui comprare cose di cui per lo più non abbiamo bisogno, presenza avvertibile del mondo che esiste e pulsa intorno a noi in ogni stagione dell’anno e in ogni ora del giorno e della notte per non farci sentire mai soli…

Ma se questi sono i vantaggi (forse visti in maniera un po’ critica) della città, esistono inevitabilmente gli svantaggi: inquinamento atmosferico e acustico, tempi di percorrenza più o meno elevati da mettere in conto per ogni spostamento, estraneità di quello che pure viene definito vicinato, microcriminalità diffusa, stress da rientro ogni volta che ci concediamo un week-end fuori porta.

Rispetto a qualche decennio fa, la situazione sembra addirittura peggiorata: i parcheggi sono diventati introvabili, le condizioni di sicurezza sono diminuite e le distanze aumentano con l’espandersi delle periferie.

La montagna, al contrario, ha guadagnato punti: con la televisione e con Internet ormai si è collegati con il mondo intero, le strade sono tutte asfaltate e per nascere non c’è più bisogno della levatrice del paese ma si ricorre all’ospedale attrezzato della città (è poi giusto che non ci sia più nessuno che si trovi segnato sul documento, come luogo di nascita, il nome di un paese?).

La montagna non è comunque uguale dappertutto ma, così come esistono piccole e grandi città, presenta anche luoghi profondamente diversi: dai paesi isolati, raggiungibili solo a piedi e magari pure sprovvisti di energia elettrica, agli insediamenti piccoli e scarsamente serviti, alle quasi-città.

Denominatore comune è la maggior criticità dell’ambiente, sotto il profilo della sicurezza. Piogge che altrove determinano soltanto il fastidio di dover uscire con l’ombrello, in montagna possono rapidamente provocare l’ingrossamento dei corsi d’acqua, con ripercussioni sulla viabilità e rischi di smottamento dei pendii; qui le nevicate, proprio quelle che auspichiamo a ogni Natale, si portano dietro il pericolo delle valanghe. E sappiamo che, per quanto l’uomo si sia già da tempo attivato con i più ingegnosi sistemi di difesa attiva e passiva, il fattore rischio non è mai stato eliminato e non è eliminabile del tutto, neanche con le tecniche più sofisticate.

Ma quanto più lo spazio è fragile, tanto più è forte il senso di coesione sociale: la cultura della montagna, che implica stili di vita e valori profondamente diversi da quelli propri della città, accomuna tutti quelli che hanno la consapevolezza di vivere da sempre e comunque in un ambiente difficile per cui (in caso di emergenza) si è subito pronti a darsi una mano perché ci si conosce tutti e la solidarietà è un sentimento innato.

E in montagna è soprattutto diversa la dimensione del tempo e la percezione delle stagioni. In città, con la luce artificiale che rende le notti simili al giorno, con la scarsità del verde che scandisce, al variare stagionale della vegetazione, i periodi dell’anno, la vita scorre e si perde in una serie di giorni sempre uguali e regolati da ritmi artificiali.

In montagna, terra di cieli liberi e tempi liberati, la natura (se pur talvolta matrigna) ci permette di contemplare e partecipare allo svolgersi delle stagioni, da quando il candido totale mantello di neve cede il posto ai primi fiori profumati e poi al verde rigoglioso di prati e boschi fino all’esibirsi di una coltre di foglie dorate che poi un vento gelido spazza via preannunciando il nuovo inverno.

Vivere in montagna non è quindi necessariamente un handicap o un ripiego: è piuttosto una scelta diversa, che implica una profonda e totale adesione a valori che si propongono in sé come diversi da quelli della cultura urbana. L’importante è capire che la cultura urbana non rappresenta il modello cui tendere, ma che anzi è compito delle culture minoritarie conservare la loro identità e vitalità per mantenere possibili e aperte a chiunque delle scelte alternative.

L’Unione Europea propone inoltre un nuovo traguardo: l’alleanza tra città e campagna, tra aree forti e aree deboli, proprio partendo dalla considerazione che uno sviluppo territoriale equilibrato e durevole deve muovere dalla differenziazione e integrazione delle risorse e delle funzioni. Un invito quindi a mantenere e valorizzare le diversità e ad intenderle come occasioni di sviluppo autonomo, in un quadro non di concorrenza ma di cooperazione nell’armonizzare l’uso delle risorse che ciascuno è in grado di mettere in campo.

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